domenica 2 ottobre 2011

In un'analisi storica, le ragioni dell'ondata autonomistica che oggi sta mettendo in discussione l'unità nazionale


Il problema della secessione sollevato da Bossi ha dato all'Italia, paese emotivo e quindi incapace di analizzare pragmaticamente i problemi politici, sociali ed economici, un nuovo motivo di lite. Sul tema non si discute, ci si accapiglia, si viene alle mani, si agitano i servizi segreti, i "patrioti" mettono in scena la rappresentazione di un'Italia passata al tritatutto, i "secessionisti" vedono nello strappo la soluzione di tutti i mali. Ragionamenti e controragionamenti hanno la solita impostazione infantil-viscerale a causa della quale l'elettorato italiano va al voto con idee chiarissimamente confuse. Sul problema della secessione queste idee sono ancora più nebulose. Per contribuire a chiarirle pubblichiamo questa intervista al professor Ettore A. Albertoni, professore ordinario di Storia delle dottrine politiche e delle istituzioni, autore di "Il federalismo nel pensiero politico e nelle istituzioni", testo notevole, anche dal punto di vista storico, per conoscere e capire un tema del quale molto si chiacchiera ma poco si conosce.

a cura di ALESSANDRO STORTI

Professor Albertoni, da qualche mese i politici dei partiti centralisti hanno iniziato una preconcetta opera di "demolizione comunicativa" che ha per oggetto la Padania: il sociologo Ilvo Diamanti continua a ripetere, nei suoi interventi su il Sole 24 Ore che "la Padania é un'invenzione di Bossi"; il parlamentare ulivista Furio Colombo ha detto in aula "La Padania non esiste!"; ultimi in ordine di tempo i Presidenti di Camera e Senato, Luciano Violante e Nicola Mancino, hanno ufficialmente bandito il termine "Padania" dai verbali delle sedute, vietandone la trascrizione.
Tuttavia risulta evidente che tali interventi sono la dimostrazione di una tremenda paura da parte dello Stato verso le istanze di libertá e di identitá della nostra terra, una paura malamente dissimulata dai tentativi di minimizzare il fenomeno. Secondo lei la Padania é una realtá virtuale o storicamente esistente?


ALBERTONI: "Innanzitutto bisogna partire da una considerazione storica ovvia. I popoli padani e alpini che sono collocati territorialmente nelle attuali Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Valle d'Aosta, Veneto e, in parte, Marche da secoli costituiscono, pur con le innegabili diversitá esistenti, una comunitá naturale fondata su un condiviso patrimonio di valori e di cultura. In secondo luogo é certo che l'analisi economica e sociale piú aggiornata ed attendibile ha da tempo individuato nella mappa delle "regioni economiche d'Europa" una ben esistente e reale Padania (come si evince infatti dallo studio della Fondazione Agnelli pubblicato nel 1992 e significativamente intitolato "La Padania, una regione italiana in Europa"). La Padania, quindi, esiste eccome!


Va anche ricordato che alcune Regioni del Centro-Nord sin dalla metá degli anni '70, come ha dichiarato pubblicamente e recentemente Guido Fanti, diedero vita ad iniziative di studio e di approfondimento proprio di quella precisa e vivente realtá che é la Padania. E' piuttosto singolare che si voglia affrontare oggi il federalismo che é, per una parte considerevole, problema territoriale, negando validitá ad una posizione come quella della Lega Nord, che ha il merito di reintrodurre nel dibattito sulla riforma costituzionale (sia in ambito italiano che europeo), il tema della Padania; tema che é, stranamente, considerato valido ed elogiato solo se studiato da Fondazioni legate al potere economico o da politici ed amministratori emiliani appartenenti all'ex partito comunista. Occorre, perció, parlare sempre di piú di Padania perché é un modo assai pragmatico, democratico e coinvolgente di affrontare il presente e il futuro".


In tutti i casi di indipendenza acquisita da noi esaminati, una delle ragioni principali della lotta per l'autogoverno é stata quella della provenienza territoriale prevalente dei dipendenti pubblici da una sola area dello Stato. Che significato istituzionale ha questa motivazione centrale e così importante e quali considerazioni si possono fare sul caso padano?
ALBERTONI: "Il problema della burocrazia é cruciale, in particolare nel nostro caso. Nello Stato Italiano vi sono circa 4/5 milioni di funzionari pubblici (non si sa bene neppure quanti) e si parla di oltre 200 mila leggi. Questa pesantissima realtá burocratica e normativa blocca un processo che parte dal basso, perché alla base territoriale e sociale non ci sono forze adeguate per poter avviare processi di cambiamento incisivo: la struttura statale é enorme, pachidermica e fondata sull'esasperazione predatoria del fiscalismo rapace dello Stato centralista. Ecco dunque che nasce la necessitá urgente di avere dei nuovi quadri concettuali ed operativi di riferimento (e in questo caso la Padania é un quadro di riferimento molto importante) per una significativa azione. Non possiamo, infatti, pensare a microsoggetti istituzionali e a microentitá giuridico-politiche. Nel processo di federalizzazione "per separazione" proposto dalla Lega Nord vi devono essere delle strutture autosufficienti a tutti i livelli (partendo dai comuni, passando attraverso le associazioni di comuni, o ex province, e le regioni economiche), fino ad arrivare all'Europa, in una dinamica che deve comunque partire dal basso, dalla base naturale che sono i popoli con i loro bisogni, interessi ed ideali. E' evidente quindi che il problema delle burocrazie non territoriali ma reclutate altrove genera enormi scompensi a danno di tutti.
"Nel caso italiano il problema non é tanto quello di una semplice dualitá fra Nord e Sud, ma piuttosto quello di una differenziazione fra le diverse grandi aree che compongono lo Stato (aree insulari, area padana, area toscana, ecc., ciascuna con proprie caratteristiche). L'elemento paradossalmente unificante I'attuale Repubblica centralista, uniformatrice e, tendenzialmente, illiberale ed autoritaria (nel senso dell'autoritarismo poliziesco), é una classe politica che ha ormai un peso sempre piú ridotto e una burocrazia che ne ha uno sempre maggiore. La classe politica conta sempre meno ed é diventata istericamente e acriticamente "unitaria"; l'appello a Silvio Pellico é dichiarazione d'impotenza. La burocrazia poi ha due strati: da un lato i "peones", che provengono prevalentemente dal Sud, dove si é sviluppata come naturale sbocco lavorativo una classe di funz"ionari di bassa qualifica, di scarso peso, ma di grande fedeltá centralista; dall'altro il grande "generone alto-burocratico romano", che é il vero problema della democrazia italiana. Quest'ultimo strato ha un peso specifico enorme a livello di direzioni generali di ministeri, di alti comandi, di strutture tecnico-amministrative, bancarie e, soprattutto, dell'economia diretta dallo Stato. Esso costituisce l'elemento cementificatore piú consistente della nostra fatiscente ed arcaica organizzazione pubblica.
L'attuale squilibrio territoriale si é sempre basato sul vecchio principio "al Nord gli affari, e a tutto il resto d'Italia, Sud e Roma cioé, la Pubblica Amministrazione". Cosi oggi é pacifico che la Padania si trovi in una condizione di inferioritá, direi senz'altro di tipo coloniale. Certo la Padania, popoli ed élites, ha le sue responsabilitá, poiché ha abdicato completamente alla guida della Repubblica per anni, pensando che fosse sufficiente sviluppare la propria vocazione economica, imprenditoriale e commerciale e che tutto il resto sarebbe automaticamente seguito. Anche la politica ha comunque una grandissima colpa, perché non é mai stato affrontato seriamente (diversamente da altri Paesi) il tema della cultura della Pubblica Amministrazione, che dovrebbe oggi piú che mai basarsi sui risultati, l'efficienza e la responsabilitá nei confronti dei cittadini. In ogni caso anche il problema del "corpo burocratico" dello Stato va letto in una nuova ottica; é necessario ragionare in termini di precisa localizzazione ambientale e territoriale (guardando alla dimensione padana, sarda, siciliana, ecc.) e di contesto europeo. A identitá precise e consapevoli di popoli, territori ed istituzioni deve corrispondere un funzionariato adeguato ed in sintonia".


Nella sua risposta ha accennato al "federalismo per separazione". Giá in altri interventi scientifici e culturali ha avuto modo di sviluppare questo concetto; che cosa intende esattamente con tale espressione? E come si concilia il suddetto percorso giuridico e politico con il diritto di secessione e il principio di autodeterminazione?
ALBERTONI: "Per poter capire appieno il significato dell'espressione "federalismo per separazione" é prima indispensabile analizzare storicamente e comparativamente i diversi fenomeni di federalizzazione. In passato il federalismo é sempre stato una formula di unione; gli esempi al riguardo sono evidenti. Il caso peculiare dell'epoca moderna é quello delle 13 colonie dell'America del Nord di lingua inglese che diventano 13 Stati, si confederano tra loro e poi danno vita ad una federazione (e pluribus unum). Anche la vicenda della Svizzera é significativa, poiché fino al 1848 ebbe un assetto altamente confederativo, e successivamente passó ad una pur moderata centralizzazione federalistica dei poteri. Sono esperienze queste di "federalismo per aggregazione", cioé formule politico-istituzionali che portano alla sintesi di quel ricordato principio tipico americano che dice "e pluribus unum".
"Oggi peró i processi di federalizzazione non sono piú improntati al raggiungimento di una unitá e omogeneitá sedicente "nazionale"; al contrario essi si basano sulla tutela e sulla coesistenza delle diversitá ("ex uno plures"). Le radici di questa inversione di tendenza si possono cogliere giá nella nascita dello Stato tedesco del secondo dopoguerra. La Germania del 1949 era un paese lacerato per gli eventi della seconda guerra mondiale e che usciva dalla esperienza totalitaria e centralista in massimo grado del nazismo; il nuovo Stato non elaboró una costituzione federale ma una legge suprema, il Grundgesetz (peraltro mai accettata dal Land piú grande, la Baviera), che incominció a separare tra loro delle entitá istituzionali reali che erano state concentrate coattivamente nella struttura monolitica e statuale del nazionalsocialismo: la logica dei Lander si contrappose palesemente al principio nazional-centralista:
"Un Führer, un Reich, un popolo". E' altrettanto importante il recente caso della federalizzazione belga, frutto di un lavoro progettuale durato oltre 20 anni, che ha prodotto una divisione netta fra le due aree etnico-linguistiche, con l'organizzazione ordinata in cinque livelli di potere istituzionale retto dalla sussidiarietá.
Questi nuovi processi istituzionali dimostrano che, piú si procede verso quella che io chiamo la "societá plurale", la "societá multipla", dove il grado di complessitá sociale aumenta, piú i passaggi di separazione, delimitazione e nuova articolazione territoriale dei poteri di governo e gestione si fanno complessi, difficili e non schematizzabili "a priori". D'altronde l'elemento determinante nella destrutturazione degli Stati nazionali é stata ed é l'Europa. L'unione continentale rappresenta un momento di profonda svolta nella concezione giuridica e politica dei rapporti fra individui e comunitá. Infatti appare ormai chiaro che l'Europa sta nascendo come aggregazione non di realtá statuali classiche, ma di entitá in cui, su una storia comune, una geografia e una economia accomunanti, uno scambio culturale e sociale continuo, si inseriscono dei processi di alto sviluppo socio-economico e di nuove integrazioni, tali da generare, come giá avviene, la nascita di veri e propri soggetti istituzionali (come la Padania, la Catalogna, la regione Rhones-Alpes, il Baden-Wurttemberg e altre).
"In questo quadro dunque si puó piú che legittimamente parlare di "federalismo per separazione", e cioé di un percorso che afferma come prioritaria e preliminare per la costruzione federale l'autonomia e l'identitá delle comunitá che dovranno, successivamente, federarsi in una prospettiva che, peró, non é piú quella dello Stato-nazione ma dell'Europa-continente. Si tratta di una strada che ha al tempo stesso un notevole valore di innovazione nei processi riaggregativi in ambito italiano ed europeo, e che si basa sul principio internazionalmente riconosciuto dell'autodeterminazione dei popoli. La fase che stiamo vivendo presenta quindi caratteristiche di novitá assolute rispetto al passato, soprattutto per i fenomeni di mutamento che sono velocissimi e in corso nelle strutture economiche e sociali. Abbiamo la stupefacente possibilitá di assistere ad una globalizzazione dei rapporti umani che procede su due gradi: da un lato la ricordata integrazione fra territori, al di lá delle frontiere statuali classiche, fondata sullo scambio e sui rapporti culturali e commerciali; dall'altro l'impoverimento del concetto portante degli Stati nazionali, cioé la caduta della sovranitá. Se combiniamo assieme questi due fattori di libertá e di identitá otteniamo appunto come risultato politico-istituzionale quello che io chiamo "federalismo per separazione". Esso comporta anzitutto una scomposizione degli Stati nazionali tradizionali e contemporaneamente una riaggregazione regionale a livello europeo e, auspicabilmente, in futuro, mondiale. Questo processo, a mio parere, coinvolge pienamente la Padania, che ora deve solo assumere coscienza del suo ruolo e della sua forza".


Lo scenario che ha disegnato si basa, come detto, sul declino dello Stato nazionale cosi come lo abbiamo conosciuto. Ma con la fine degli Stati di ispirazione filosofica giacobina vengono messi in discussione soprattutto i concetti di sovranitá e di nazione, fulcro dell'ideologia nazionalista che ha causato circa 100 milioni di morti nelle grandi guerre europee e mondiali. Come vede il passaggio al mondo nuovo?
ALBERTONI: "Lo Stato, cosi come si é formato e si é sviluppato dal '500 in poi, ha avuto come suo connotato essenziale la sovranitá, sempre piú invadente e ramificata del potere pubblico. I dati propri della sovranitá sono la legislazione uniformante e centralizzante, la forza armata, la moneta, il mercato diretto e chiuso, la burocrazia. Le sovranitá nazionali, dopo la seconda guerra mondiale, si sono ridotte notevolmente, perché con il Patto Atlantico ( 1949) é stata limitata completamente la sovranitá dal punto di vista militare; lo sviluppo delle istituzioni comunitarie ha diminuito i poteri dei singoli governi, cosi come ha fatto la creazione di un mercato prima comune e poi unico. Il colpo finale verrá tra breve dalla moneta europea. Perció quando Umberto Bossi parla di doppia legalitá dice una cosa vera, perché se é innegabile l'esistenza della legalitá dello Stato Italiano, é altrettanto certo che i processi di aggregazione europea sono tali per cui le dinamiche sociali, economiche e culturali portano a cercare altre e ben diverse dimensioni istituzionali. La Padania é, quindi, molto piú di un'ipotesi politica, é una via di salvezza al disastro italico.
Tengo molto a sottolineare questo aspetto spontaneistico e volontaristico perché, secondo me, la visione puramente normativa di un secessionismo, ma anche di un "federalismo per separazione", che si cerca in ogni modo di giustificare con le leggi non é sempre applicabile. Puó avere un senso in casi come quello della ex Cecoslovacchia o, forse in futuro, del Belgio, dove si hanno situazioni fortemente duali; in societá invece come la nostra, di tipo molto articolato e complesso, i procedimenti di separazione seguono vie che prescindono dal giá conosciuto. Occorre perció che si individuino mezzi e procedure efficaci e democratici al riguardo anche per il rapporto Padania-Europa.
Venendo alla "nazione", bisogna dire che si tratta di un concetto in termini giuridico-politici fortemente datato, elaborato a partire dalla Rivoluzione Francese e sviluppatosi soprattutto nell'Ottocento. Si tratta di una autentica invenzione, di una ideologia molto coinvolgente ed emotiva per tenere insieme le parti e gli interessi spesso eterogenei dello Stato. Questo é un elemento importantissimo, perché la crisi seguita alla esasperazione nazionalista sia del nazifascismo che del comunismo sovietico porta oggi a fare considerazioni ben precise; assistiamo infatti a.l declino di quelle strutture (gli Stati), che avrebbero dovuto contenere le nazioni, e che invece non sono piú in grado di rispondere alla nuova dialettica economica, sociale e culturale che investe ormai le nazioni stesse. Basta guardare alla realtá italica: circa 5 milioni di imprese economiche, che corrispondono ad un rapporto di una impresa ogni dieci-undici abitanti, formano un tessuto sociale impossibile da controllare da parte di uno Stato nazionale centralista ed omologante classicamente inteso, e da noi purtroppo ancora dominante. Le imprese economiche in un mercato chiuso vivono e muoiono d'autarchia, mentre in un mercato europeo unico e aperto, con rapporti globali con il resto del pianeta, hanno una possibilitá di moltiplicazione e insediamento che prescinde completamente dalla logica delle frontiere. E' questa l'autentica ed inedita frontiera delle "regioni economiche" che non corrisponde ormai piú a quella degli Stati nazionali. In questo senso io vedo una federalizzazione che é lontana dal provincialismo italico e che é, invece, prima di tutto europea. In questo ambito gli Stati devono chiudere la loro esperienza di tipo nazionale (e quindi tendenzialmente sempre centralistica), e devono ricomporsi in un processo che vede come protagoniste nuove entitá e nuove aggregazioni. Le regioni economiche sono e sempre piú saranno i soggetti attivi della nuova frontiera del federalismo interno ed europeo, poiché esse seguono l'indicazione naturale dell'economia e dello sviluppo, di una nuova ed inedita cultura civile, di un'etica individuale e comunitaria assai profonda. Certamente si tratta di un processo piuttosto complesso dal punto di vista giuridico, perché parte dal basso ed é attraversato da una forte dinamica revisionistica delle strutture esistenti. Ma é il solo processo vitale perché l'Europa effettivamente viva e noi con lei".

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